martedì 16 ottobre 2012

La rivolta dell'Oltrarno fiorentino.

Pubblichiamo il secondo articolo dedicato da Miguel Martinez (qui trovate il primo) alla vicenda del parcheggio di Piazza del Carmine, ennesima scelta dell'attuale amministrazione in contrasto con gli interessi della maggior parte della popolazione. L'amministrazione Renzi non ha fatto i conti però con la capacità di mobilitazione e resistenza del quartiere di San Frediano, che in massa si è schierato contro lo scellerato progetto.

 
Parliamo di nuovo del microcosmo del quartiere in cui abito. Non perché sia importante in sé, ma perché credo che ci possa aiutare a capire alcune faccende fondamentali di tutto l’Occidente contemporaneo.
Ieri sera, i tecnici del Comune, nell’ambito di un evento chiamato “I Cento Luoghi”, si sono incontrati con gli abitanti di San Frediano, nell’Oltrarno fiorentino.
Avevo provato a far venire le persone che conoscevo: tutte decisamente contrarie al progetto del Comune di trasformare Piazza del Carmine in un parcheggio per la movida notturna e il turismo di massa diurno, aprendo nel frattempo le due principali vie del quartiere a un traffico automobilistico illimitato.
Un progetto voluto dalla minoranza più organizzata e potente dei commercianti assieme alla Firenze Parcheggi, un’azienda privata ma partecipata dal Comune.
Tutte però mi hanno detto che a quell’ora – le 21 – non potevano venire.
Quindi, mi aspettavo poca resistenza, e la presenza di qualche organizzato lobbista a sostegno del Comune.
Invece, c’erano duecento persone del quartiere, tremendamente arrabbiate, ma con idee sorprendentemente chiare, che hanno messo i poveri inviati del Comune con le spalle al muro: quello che qualche giorno prima il sindaco aveva detto pubblicamente era cosa fatta, adesso diventava semplicemente un “progetto” ancora da studiare. Poi lo sappiamo che lo faranno lo stesso, ma vederli in ritirata è comunque una piccola soddisfazione.
Mentre a San Frediano c’è un quartiere intero mobilitato, a Piazza Brunelleschi, sull’altra sponda, dove c’è un progetto identico, mi sembra di capire che regni il silenzio.
Vuol dire che quel quartiere è già stato interamente devitalizzato: la distruzione sociale, in nome del modello “città-oggetto al centro, residenti-in-periferia” è già passata.
Questo indica l’enorme potenza distruttiva di meccanismi che sembrano semplici piani di urbanistica.
E come di mezzo ci sia, non una questione di parcheggi, ma la vita e la morte di una comunità.
Nel nostro quartiere, c’è una percentuale altissima di stranieri di ogni provenienza, dall’artista tedesca all’operaio rumeno. Alla scuola elementare, la percentuale di figli di stranieri si avvicina al 50%.
Eppure, nessuno ieri ha accennato a una “questione stranieri”, semplicemente perché non esiste.
E non esiste, perché è un quartiere coeso e vivibile, in cui tanti si danno una mano e si frequentano senza problemi. I genitori che chiacchierano tra di loro a piazza Tasso mentre sorvegliano i loro figli, autoctoni fiorentini con ghanesi, svedesi con pakistani, giapponesi con albanesi, lo dimostrano.
Questo è possibile perché San Frediano non è ridotto solo a una zona movida-turismo. E questa vivibilità non è il risultato di alcuna particolare politica, a parte la parzialissima chiusura del centro storico al traffico esterno durante il giorno.
Cioè, quella “integrazione” di cui chiacchierano i politici, per cui si mobilitano i ben intenzionati, per cui si spendono miliardi altrove, qui nasce gratis e spontaneamente.
O si vive come a San Frediano, o si vive come a Parigi.
Una decina di anni fa, sono stato alla Rive Gauche, proprio quella che la Confesercenti indica come modello per l’Oltrarno, tanto da averne fatto uno slogan.
Io ci stavo benissimo, in fondo dovevo solo andare a un ristorante e passeggiare un po’, per poi sparire per sempre da Parigi.
Ma la cosa che più mi ha colpito era che le facce erano tutte, ma tutte “europee”, per capirci. E immagino che anche tra quelle europee, scarseggiassero i polacchi o gli ucraini.
Poi ho preso il treno locale, attraversando i quartieri periferici, e dal finestrino ho visto ben poche facce “europee” (e tra quelle poche, immagino, abbondassero polacchi e ucraini).
Il risultato di una politica di decenni – per costruire quartieri periferici e per “valorizzare” il centro storico -, con investimenti astronomici, lo descrive piuttosto bene un post scritto da un blogger italiano che vive in Francia.
Una volta, in teoria, se ti sentivi d’accordo con le proposte dei grossi commercianti, votavi a destra; se volevi difendere il popolo (chiamiamolo così), votavi a sinistra.
Cosa fai, quando una giunta di sinistra coincide con gli interessi dei grossi commercianti, ma a differenza dell’inconcludente destra, sa usare ricatti sottili?
Ad esempio, accusando le comunità che si difendono di praticare una politica NIMBY (“Not in My Back Yard”), che l’inglese ci sta sempre bene, insomma dandoti dell’egoista. Visto che in Italia, nessuno ha il back yard,potremmo tradurre “Non mel mio orticello”.
E’ vero che da qualche parte bisogna pur fare la discarica o aprire l’ospedale.
Però da qui si slitta molto facilmente a dire che da qualche parte bisogna pur fare il megaparcheggio che inondi il quartiere di traffico, di centri commerciali e di locali notturni.
E qui hanno torto.
Facciano il loro non luogo da un’altra parte, e se tutti si organizzano per impedirglielo, tanto meglio. Non lo si faccia per niente.
E magari anche se un quartiere rifiuta di diventare la discarica di tutte le immondizie della città, forse può servire almeno affinché il comune si ingegni a inventare discariche meno aggressive.
Non ci sono oggi lotte collettive, o quasi. Ben vengano, allora (in linea di massima, ovviamente) quelle locali.
Non si tratta di dire “nimby”, ma “nioby”, “Not in OUR back yard”. E perché no, con un po’ di generosità, impariamo pure a dire “niybye”, “Not in Your Back Yard Either”, “e nemmeno nel tuo orticello”.
 

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