La
cosiddetta riforma del lavoro è la conclusione coerente di un
processo iniziato negli anni ‘90 in Italia con l’approvazione del
pacchetto Treu. A suo tempo è stata una svolta storica, perché
ha inaugurato la stagione del lavoro precario, segnando una
discontinuità con la precedente legislazione sul lavoro che,
fino agli anni ‘70, si era mossa in continuità con il
dettato costituzionale (art. 1, 36, 38, 41).
Una
legislazione che valorizzava la dimensione collettiva, muovendo dal
presupposto dell’intrinseca debolezza del contratto individuale e
della indispensabile necessità del lavoratore di presentarsi
al contratto con la garanzia di un patto stipulato in sede collettiva
(Contratti nazionali). Una legislazione che valorizzava e rafforzava
anche la normativa in materia di tutela fisica del lavoratore.
Con
il pacchetto Treu - e successivamente con la legge c.d Biagi (2003),
- si opera un vero e proprio capovolgimento del presupposto che aveva
ispirato la precedente legislazione del lavoro: si assegna la
priorità al mercato, modulando la sorte del lavoratore in base
alle mutevoli convenienze aziendali.
Con
la crisi finanziaria questo processo ha subito un’accelerazione, di
cui è stata protagonista la BCE, con la sua nota “lettera”
che prescriveva precisi adempimenti ai governi europei in materia di
lavoro.
Vediamo,
in sintesi, i punti rilevanti di questa riforma del lavoro:
-
Art. 18 – nel caso di licenziamenti per motivi economici non vi è
più la possibilità del reintegro al lavoro, ma “ il
datore di lavoro può essere condannato solo al pagamento di
un’indennità”. Il reintegro è possibile solo nel
caso di palesi discriminazioni. Anche per i licenziamenti per motivi
disciplinari il giudice potrà scegliere tra reintegro ed
indennizzo.
-
Nella riforma non è contemplata la soppressione delle 46
tipologie contrattuali esistenti. Rimangono in piedi il lavoro a
progetto, contratto a chiamata ecc…
-
passaggio dal 2017 dalla mobilità alla assicurazione sociale
per l’impiego (Aspi) di norma dura 12 mesi e 18 per gli over 50 (la
mobilità durava fino a 4 anni per gli over 50).
Anche
quelle norme che sembrano muoversi nella direzione di maggiori tutele
per il lavoratore, in realtà interessano forme marginali e
ininfluenti del lavoro.
Il
mondo politico e sindacale ha enormi responsabilità nell’aver
determinato questo esito distruttivo: i suoi esponenti, nella
migliore delle ipotesi, hanno fatto finta di non capire che questa
deregolamentazione del lavoro iniziata negli anni ‘90 avrebbe
trascinato i lavoratori nel baratro.
Ora
non ci sono più spazi di trattativa, ogni forma di trattativa
è destinata alla sconfitta. E’ necessario quindi respingere
l’intero impianto della riforma, e trovare nuove strade da
percorrere al di fuori di questi partiti, di questi sindacati e di
queste logiche neoliberiste.
Stefania
Corucci – Alternativa Toscana
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