martedì 27 marzo 2012

Sulla riforma del lavoro approvata dal Consiglio dei Ministri.


La cosiddetta riforma del lavoro è la conclusione coerente di un processo iniziato negli anni ‘90 in Italia con l’approvazione del pacchetto Treu. A suo tempo è stata una svolta storica, perché ha inaugurato la stagione del lavoro precario, segnando una discontinuità con la precedente legislazione sul lavoro che, fino agli anni ‘70, si era mossa in continuità con il dettato costituzionale (art. 1, 36, 38, 41).
Una legislazione che valorizzava la dimensione collettiva, muovendo dal presupposto dell’intrinseca debolezza del contratto individuale e della indispensabile necessità del lavoratore di presentarsi al contratto con la garanzia di un patto stipulato in sede collettiva (Contratti nazionali). Una legislazione che valorizzava e rafforzava anche la normativa in materia di tutela fisica del lavoratore.
Con il pacchetto Treu - e successivamente con la legge c.d Biagi (2003), - si opera un vero e proprio capovolgimento del presupposto che aveva ispirato la precedente legislazione del lavoro: si assegna la priorità al mercato, modulando la sorte del lavoratore in base alle mutevoli convenienze aziendali.
Con la crisi finanziaria questo processo ha subito un’accelerazione, di cui è stata protagonista la BCE, con la sua nota “lettera” che prescriveva precisi adempimenti ai governi europei in materia di lavoro.

Vediamo, in sintesi, i punti rilevanti di questa riforma del lavoro:
- Art. 18 – nel caso di licenziamenti per motivi economici non vi è più la possibilità del reintegro al lavoro, ma “ il datore di lavoro può essere condannato solo al pagamento di un’indennità”. Il reintegro è possibile solo nel caso di palesi discriminazioni. Anche per i licenziamenti per motivi disciplinari il giudice potrà scegliere tra reintegro ed indennizzo.
- Nella riforma non è contemplata la soppressione delle 46 tipologie contrattuali esistenti. Rimangono in piedi il lavoro a progetto, contratto a chiamata ecc…
- passaggio dal 2017 dalla mobilità alla assicurazione sociale per l’impiego (Aspi) di norma dura 12 mesi e 18 per gli over 50 (la mobilità durava fino a 4 anni per gli over 50).

Anche quelle norme che sembrano muoversi nella direzione di maggiori tutele per il lavoratore, in realtà interessano forme marginali e ininfluenti del lavoro.

Il mondo politico e sindacale ha enormi responsabilità nell’aver determinato questo esito distruttivo: i suoi esponenti, nella migliore delle ipotesi, hanno fatto finta di non capire che questa deregolamentazione del lavoro iniziata negli anni ‘90 avrebbe trascinato i lavoratori nel baratro.
Ora non ci sono più spazi di trattativa, ogni forma di trattativa è destinata alla sconfitta. E’ necessario quindi respingere l’intero impianto della riforma, e trovare nuove strade da percorrere al di fuori di questi partiti, di questi sindacati e di queste logiche neoliberiste.


Stefania Corucci – Alternativa Toscana

Nessun commento:

Posta un commento