Dal sito Senzasoste:
Centocinquanta milioni di metri cubi
d'acqua prosciugati tra pozzi, fiumi e torrenti secolari, un processo
penale (arrivato all'appello) contro l'impresa costruttrice, un altro
davanti alla Corte dei conti per dirigenti e amministratori locali. E
poi smottamenti, crepe nelle case e voragini spalancate nell'asfalto a
Bologna, e il solito mare di polemiche: il tutto per un'opera che ha
sfondato, secondo le ultime stime, il tetto dei 6 miliardi di euro.
PIÙ DI 70 KM SOTTO TERRA.
Benvenuti sulla Tav Bologna-Firenze, la linea ad alta velocità che
collega - attraverso l'appennino tosco-emiliano - le due città in soli
37 minuti, secondo più secondo meno. Il tutto su un percorso totale di
78,5 chilometri, il 93% dei quali passa sotto una galleria. Un'opera dai
costi faraonici (ogni chilometro, dicono gli esperti, è costato la
bellezza di 70 milioni di euro) il cui bozzetto preliminare fu
presentato nel 1991 ma che ha visto il primo treno sfrecciare alla
velocità di 356 km/h nel dicembre del 2009 quando la tratta venne
inaugurata dall'allora premier Silvio Berlusconi con tanto di berretto
da ferroviere calato sulla testa.
UNA POLEMICA LUNGA 18 ANNI.
In mezzo diciotto anni di lavori, ritardi e polemiche che hanno visto
fronteggiarsi a più riprese i Comuni e le Regioni interessate dal
progetto, le associazioni ambientaliste, Ferrovie dello Stato e il
consorzio Cavet (l'impresa di Pianoro a cui venne affidata la
costruzione dell'intera tratta) a causa del disastroso impatto
ambientale che la Tav ha provocato soprattutto nella zona del Mugello e
che ha portato all'apertura prima di una indagine penale sfociata in un
processo attualmente arrivato al secondo grado di giudizio, e
successivamente ad un'inchiesta della Corte dei conti per danni
erariali.
Gli ambientalisti: «Al Mugello drenati 150 milioni di metri cubi d'acqua»
«L'impatto
ambientale della Tav Firenze-Bologna è stato devastante, soprattutto
dal punto di vista della tutela delle risorse idriche», ha spiegato a Lettera43.it
Girolamo Dell'Olio, presidente dell'associazione ambientalista toscana
Idra. «Soltanto in Mugello, prima ancora della fine dei lavori, gli
impatti avevano già colpito 73 sorgenti, 45 pozzi, 5 acquedotti, 20 tra
fiumi, torrenti e fossi, per un totale di 150 milioni di metri cubi di
acqua drenata».
LA CONDANNA DEL 2008 CANCELLATA IN APPELLO.
Un danno che è ancora senza colpevoli nonostante siano state tante e
diverse le indagini che la magistratura ha portato avanti sugli
eventuali danni provocati dai cantieri. La più importante portò nel 2004
alla sbarra proprio il Consorzio Cavet, accusato dell'illecito
smaltimento dei rifiuti di scavo e dei danni alle falde acquifere. Nel
2008 la sentenza di primo grado diede ragione alle associazioni che si
erano battute contro la Tav condannando 27 persone e disponendo un
risarcimento di quasi 150 milioni di euro. Sentenza però ribaltata un
anno più tardi dalla Corte d'appello che ha assolto tutti gli imputati
cancellando con un colpo di spugna anche il maxi risarcimento per i
danni ambientali.
PROCESSO PER DANNI DALL'ERARIO ANCORA APERTO.
Ma se il procedimento penale è ormai arrivato al capolinea (salvo
ricorso in Cassazione) quello per i danni subiti dall'erario è ancora in
corso. Nel 2009 la Corte dei conti presentò un invito a dedurre a 52
personalità legate al governo regionale della Toscana, tra dirigenti,
assessori capi dipartimenti (all'epoca dei nulla osta per la Tav il
governatore era l'attuale vicepresidente del Senato ed esponente del Pd
Vannino Chiti) nella quale si chiedeva un risarcimento di 741 milioni
di euro proprio per i danni provocati alle falde acquifere del Mugello.
Una cifra che poco più tardi fu ridimensionata fino a 13,5 milioni di
euro con il coinvolgimento di 'soli' 22 colletti bianchi e sulla quale a
breve si attende il pronunciamento dei magistrati contabili.
SENTENZA CON IMPLICAZIONI POLITICHE. «Questo processo, all'interno del quale la nostra associazione interviene ad adiuvandum,
mira a verificare che gli enti che hanno autorizzato al più alto
livello l'opera fossero a conoscenza delle criticità idrogeologiche che
potevano determinarsi», aggiunge Dell'Olio. «Più in generale, però, una
eventuale sentenza di colpevolezza dei nostri amministratori pubblici
potrebbe avere implicazioni politiche molto interessanti visto che
colpirebbe per la prima volta - al di là dei privati, che guardano con
naturale propensione al profitto - coloro che dovrebbero invece tutelare
il bene pubblico. Ecco perché una sentenza del genere sarebbe
suscettibile di produrre ripercussioni importanti anche sulla tratta Tav
in Val di Susa».
DANNI RISARCITI SOLO IN PARTE.
D'altronde i danni che l'alta velocità ha provocato al Mugello sono
tanti e tutti documentabili. Molti raccontano di crepe nelle case,
smottamenti improvvisi ma soprattutto di attività agricole andate sul
lastrico proprio per l'improvvisa mancanza di acqua. Come nel caso
dell'azienda del signor Sergio Pietracito, titolare di una importante
ditta biologica del Mugello proprio a due passi dal cantiere Tav, che
dopo la fine dei lavori si è ritrovato con il suo frutteto invaso da
agenti chimici e polveri, senz'acqua per dar da bere agli animali e con
la casa piena di crepe inquietanti. In qualche caso i danni arrecati
sono stati risarciti da parte dei costruttori, anche se ancora oggi, a
tre anni dalla chiusura dei cantieri, è difficile riuscire a capire chi è
stato risarcito e soprattutto quanto.
LA BEFFA DELLE OPERE DI 'COMPENSAZIONE'.
«Diversamente dai nodi urbani dove esiste un protocollo che regolamenta
i risarcimenti alle persone danneggiate - ha aggiunto Dell'Olio - in
Mugello si è portata avanti una politica del risarcimento 'casa per
casa'. In più molti comuni hanno detto sì a diverse opere di cui avevano
magari bisogno - curiosamente definite 'di compensazione' - come
sentieri di trekking, campi sportivi, ma anche strade e scuole,
innescando così una doppia beffa visto che all'impatto ambientale della
Tav si è aggiunto quello dell'asfalto versato per oltre 100 chilometri.
A dispetto degli accordi solennemente sottoscritti, non un metro cubo
di terra di scavo è stato trasportato su ferro: tutto ha viaggiato
rigorosamente su gomma».
Bologna, una voragine in via de' Carracci provocata dai cantieri Tav
Ma
la Tav non ha fatto 'vittime' solo in Appennino. Smottamenti e crepe
in diverse abitazioni si sono registrate sì nei piccoli comuni e nelle
frazioni che corrono vicino alla nuova galleria ma i disagi più
imponenti hanno colpito, e continuano a farlo, proprio la città di
Bologna dove esiste un'intera strada letteralmente devastata dal
cantiere per la costruzione della nuova stazione sotterranea per l'alta
velocità.
L'ECONOMIA DELLA ZONA IN GINOCCHIO DAL 2008.
È la storia di via de' Carracci, dove fino a qualche tempo fa si
trovava l'entrata secondaria della stazione centrale: novecento metri
presi d'assalto ogni giorno da migliaia di pendolari che però dal marzo
del 2005 con l'apertura del cantiere Tav è stata risucchiata in un
voragine fatta di degrado, crisi commerciale, polvere e rumore. «I
lavori dovevano finire nel 2008 e invece oggi il cantiere è ancora lì
con tutti i problemi che ne derivano», ha raccontato a Lettera43.it
Dino Schiavoni, portavoce del comitato dei residenti. Un progetto da
1,9 miliardi di euro che, ritardi permettendo, è previsto che veda la
luce nel 2013 ma che nel frattempo ha messo in ginocchio l'economia e i
nervi dei residenti di via Carracci.
DESERTIFICAZIONE DEL QUARTIERE E PROBLEMI DI SICUREZZA.
In sette anni sono scomparsi molti negozi e quelli che sono rimasti
hanno dimezzato incassi e profitti. Alcuni residenti poi hanno deciso di
cambiare strada, casa, quartiere. Schiavoni, che gestisce un bar e una
sala giochi a venti metri dal cantiere Tav ha dovuto licenziare tre
dipendenti e un collaboratore a causa del crollo del suo giro d'affari.
«I miei incassi erano diminuiti di un quinto e non potevo permettermi
di dare lavoro ad altre persone», ha spiegato. Se prima consumavo 800
kg di caffè nel mio bar, adesso faccio fatica ad arrivare a 150. Qui
una volta c'era un concessionario d'auto, altri negozi che hanno dovuto
chiudere perché il cantiere ha sostanzialmente provocato la
desertificazione dell'area con conseguenti problemi legati anche alla
sicurezza».
EVACUATO UN INTERO PALAZZO. Ma a
soffrire, oltre alle attività commerciali, ci sono soprattutto i
residenti che ormai da anni vivono un autentico calvario. Nell'agosto
del 2008 un intero palazzo fu evacuato perché mancavano le condizioni di
sicurezza minime dopo la comparsa di alcune inquietanti crepe tra i
muri. Sei famiglie furono fatte sloggiare in fretta e furia con la
promessa che avrebbero potuto far ritorno nelle loro case dopo un anno.
Oggi la situazione è rimasta la stessa e nessuno sa quando quegli
appartamenti potranno essere nuovamente agibili.
DOPPIA CAUSA AI VERTICI TAV.
E poi c'è la storia della signora Elena Golinelli, 86 anni, madre di un
ex campione di ciclismo su pista, costretta a vivere con le transenne
in casa. Un bel giorno i tecnici della Tav hanno bussato alla sua porta
e hanno messo i sigilli alla camera che fu di suo figlio, e dove
ancora conserva le coppe vinte, per problemi di staticità. Per il suo e
per altri casi i residenti hanno presentato una doppia causa contro i
vertici Tav: la prima per i ritardi dei lavori, l'altra per gli
sforamenti da Pm10 registrati durante i lavori del cantiere. «In questa
strada ci sono dei problemi evidenti che però qualcuno fa finta di non
vedere sfruttando la lentezza della giustizia italiana», ha concluso
Schiavoni. «Un'esperienza che abbiamo raccontato ai nostri amici della
Val di Susa. Perché quello che noi viviamo ogni giorno da sette anni a
questa parte è soprattutto l'assoluta mancanza di informazioni da parte
di chi invece di dovrebbe informare»
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