venerdì 16 dicembre 2011

Due riflessioni sulla Strage di Firenze.

Vi proponiamo due tra le tante riflessioni che sono comparse in questi giorni sul web a proposito dei tragici fatti di martedì. La prima, Gli orfani e i nobili, è del nostro amico e militante Miguel Martinez, mentre la seconda è opera dell'insigne medievalista fiorentino Franco Cardini.


Gli orfani e i nobili

di Miguel Martinez

La prima cosa che mi viene in mente riguardo alla strage di Firenze, è una sera di qualche anno fa, su uno di quei treni locali che fanno fluire e defluire le correnti più povere dell’incessante moto globale.

I viaggiatori che non si conoscono si chiudono in quello strano stato di incoscienza che è la norma di vita dell’occidentale.

I pendolari che si conoscono si raccontano storie di ufficio o di fabbrica, poi passano al grande Luogo Comune ipnoticamente generato dal videomondo condiviso, la fantasia industrialmente prodotta che ha sostituito volti, pane, aria e vita.

Calcio, Berlusconi, telefilm e tutto il teleresto, e avresti voglia di spruzzare loro un po’ d’acqua in faccia per risvegliarli, poi sai che è inutile: solo un’occasionale ferocia di tanto in tanto spezza quello stato incantato.

In fondo, mi aveva spiegato tutto la mia amica, che ogni mattina si alzava al buio a Casalpusterlengo, per andare a Milano: che quando i pendolari muoiono, mettono le loro ceneri in un piccolo trenino che segue per l’eternità gli stessi binari che percorrevano da vivi.

Stanchi, sudati, alcuni venditori ambulanti senegalesi salgono, carichi dei loro enormi borsoni. E’ un giorno qualunque di un mese qualunque per i pendolari, è Ramadan invece per loro.

Si siedono sui sedili liberi, in silenzio, e tirano fuori, ognuno, dei libretti stracciati.

E mentre i pendolari attorno a loro fanno finta di non vederli, o parlano di calcio e di lavoro, loro leggono.

Silenzioso come i pendolari e come loro, alle loro spalle, cerco di decifrare i libretti. Sono scritti in lettere arabe, ma sembrano scritte a mano, con ampi caratteri maghrebini.

“Dei fratelli con un unico scopo, decisi, fedeli e sinceri nella fratellanza, servitori dei compagni di strada.

Ciascuno di questi nobili appartiene a un alto rango, capace di proteggere l’aspirante contro il male di un ribelle perverso.

Ciascuno di loro è un grande direttore spirituale, un erudito e un probo. Certi di loro educano con versi e stati mistici.

Tra di loro, ce ne sono alcuni che elevano i loro discepoli, tutto il tempo, di un solo stato, ma altri educano e innalzano con segni efficaci.

Ciascuno di loro è un conoscitore sapiente, che conosce l’insieme delle malattie spirituali, preservando l’aspirante da diverse forme di male

Ciascuno di loro è nobile, generoso, devoto e saggio, e prodigo dei più preziosi consigli per tutti gli esseri umani

Guariscono l’anima da tutti i suoi vizi, con il loro fervore, avendo ricevuto dal Signore scienze altissime.

Rendendo disponibile le conoscenze della via degli “uomini di Allah” per tutti coloro che vi si vogliano sottomettere, per ispirazioni divine

Ciascuno di loro ha una cura molto elevato per ciò che si innalza, tutto il tempo verso l’Onnipotente che conferisce forza e illuminazione

Vedendo chiaramente ciò che è nascosto, tramite l’occhio del cuore, proprio come scruta e discerne ciò che è dissimulato nelle tenebre”.[1]

Gianluca Casseri ha ucciso per invidia.

Nota:

[1] Da Huqqal Bukka-u (“Esiste un motivo per piangere [i saggi defunti]?”) dello sheykh Ahmadou Bamba


Il caso fiorentino e la crisi europea


di Franco Cardini

Dinanzi al caso fiorentino – un omicida-suicida, l'estremista di destra Gianluca Casari, e due senegalesi morti che potrebbero diventare di più in quanto vi sono dei feriti in gravi condizioni – le due opposte tentazioni da respingere sono il semplicismo del “caso-limite” e la superficiale sistemazione dell'evento all'interno di una serialità ormai acclarata, che fa parte delle manifestazioni patologiche sì, ma in fondo “ordinarie” del nostro Occidente.
Le voci terrorizzate e angosciate, ma in fondo minimaliste, si sono fatte sentire per prime. E hanno formulato pareri giudiziosi: il Casari era un povero folle la condizione del quale era magari aggravata da cattive frequentazioni parapolitiche e pseudoculturali, l'esponente di una marginalità politica e umana che di solito resta confinata nei bassifondi e nelle cantine della nostra società e che purtroppo di rado riesce ad affiorare al disonore della cronaca con un gesto: magari, degli ammalati del “complesso di Erostrato”, il tizio che incendiò il tempio di Artemide in Efeso affinché il mondo lo conoscesse e parlasse di lui. E' stato questo, in fondo, forse il caso del norvegese Breivik, che ha avuto il tempo di rivestire la sua infame strage di logorroici sproloqui che definire ideologici equivale a far dell'eufemismo fuori luogo. Ma la posizione di chi la pensa così non è purtroppo convincente in quanto eccessi del genere, anche se non si traducono frequentemente in autentici delitti, cominciano a diventar un po' troppo comuni all'interno della nostra società. Il recente assalto al campo torinese di rom accusati a torto di un delitto che non avevano commesso è stato a un pelo dal trasformarsi a sua volta in un altro episodio raccapricciante di violenza. Né, d'altro canto, si può accettare che questi episodi, e la ferocia che ne costituisce la base e la radice, vengano accettati come se fossero normali o comunque in qualche modo comprensibili se non giustificabili in una società che appare provata e che si sente minacciata. Perché questa società, all'interno della quale qualcuno propone di trattare con sociologica comprensione il delitto (“si sentono minacciati, chissà forse lo sono davvero, quindi è normale se...”) è la stessa che non troppe generazioni or sono ha preteso di essere progredita e cresciuta imponendo l'habeas corpus, scrivendole carte dei Diritti dell'Uomo, abolendo pena di morte e tortura: e che ha ritenuto di poter giudicare e condannare i totalitarismi dalla sponda della sua conclamata superiorità morale proprio in quanto aveva raggiunto quegli irreversibili traguardi. Basta dunque un pericolo vero o supposto tale, per quanto grande sia, per indurre i paladini della libertà e dei diritti umani ad abbandonare i loro nobili ideali e a tornare alla cultura della repressione e magari dell' “aggressione preventiva”, che ha la spudoratezza di autoqualificarsi come misura di difesa?
Quel che intendo dire è che la condanna dei Breivik e dei Casari è pleonastica, è ovvia, ma non significa assolutamente nulla. I gesti dell'uno e nell'altro non sono affatto spuntati dal nulla come un fiore malefico nato non si sa né come né perché in un dolce profumato giardino: al contrario, le aiuole avvelenate nelle quali sono sbocciate quelle malefiche corolle sono state per anni, giorno per giorno, concimate dal letame di un odio considerato ammissibile e legittimo anche quando lo si riteneva non condivisibile e irrorate dall'acqua stregata del pregiudizio.
Assumiamoci quindi le nostre responsabilità: ciascuno di noi ne ha di che riempire ora una bella borsa, ora un pesante sacco. Non troppi mesi fa un esponente politico allora di spicco del passato governo, dinanzi allo spettacolo di alcuni poveri corpi che galleggiavano senza vita nel mare di Pantelleria, non esitò a invocare per il futuro un salutare intervento della marina militare, che mitragliasse e colasse a picco i cargos dei disperati provenienti dal continente africano. In un paese civile, tale affermazione avrebbe dovuto provocare un coro di indignazione e una serie di gesti di concreta rivolta contro la prospettiva che chi aveva osato pronunziare un'enormità del genere rimanesse anche un solo minuto di più a occupare un seggio di governo a spese della comunità tali da obbligare il presidente della repubblica a rimuoverlo d'autorità e ad allontanarlo dai pubblici incarichi. In Germania, pochi mesi fa – non nell'Ottocento romantico e nel rigoroso Reich del Kaiser Guglielmo – lo scandalo derivante dalla scoperta che un ministro aveva plagiato la sua tesi di laurea è stato tale da obbligarlo a dimettersi. Questi due episodi danno la misura della differenza tra situazione italiana e tedesca molto di più di qualunque spread.
Non basta ancora. Nel 2002 – vedete quanto lontane sono le radici della violenza? -, quando il governo Bush e i suoi complici stavano preparando l'aggressione all'Iraq, tra Manhattan e Firenze la giornalista e scrittrice Oriana Fallaci seminava generosamente i semi dell'odio descrivendo un immaginario Islam tutto proteso a distruggere la nostra civiltà e reagendo – come allibito denunziava Tiziano Terzani, che della Fallaci era pur amico ed estimatore – con calci e sputi dinanzi alle repliche di chi non era d'accordo con lei. In tale occasione, intellettuali come Franco Zeffirelli si schierarono senza se e senza ma al fianco di Oriana minacciando addirittura d'incatenarsi sul Ponte Vecchio finché non fossero cessate manifestazioni “vergognose” come quelle degli extracomunitari che avevano drizzato una tenda di fronte al palazzo arcivescovile, a fianco del bel battistero di San Giovanni, identificando nel primate della Chiesa fiorentina colui che naturalmente avrebbe potuto difenderli, magari da solo, contro gli intollerabili soprusi dei quali erano vittime e che provenivano loro, spesso, da amministratori e da politici. Che quelle intollerabili offese alla dignità della persona umana fossero ben più gravi dell'attentato alla bellezza della più nobile piazza fiorentina costituita da quell'accampamento di senza-dimora, non sfiorò nemmeno per un istante né la coscienza cattolica di Zeffirelli, né quella laica e democratica della Fallaci.
La strada che ha condotto all'eccidio fiorentino è lastricata di queste pietre. Ma, finché la crisi socioeconomica non si è palesata in tutta la sua gravità – e ciò non è ancora del resto accaduto nemmeno in questi giorni -, queste manifestazioni d'intolleranza, questi incitamenti all'odio, sono stati confusi con legittime espressioni di libertà di pensiero. Ma quando un pregiudizio lungo, radicato e addirittura autorevolmente accettato e magari perfino sostenuto, dopo aver troppo tempo “pacificamente” allignato in una società che sottovalutandolo lo ha tollerato, esplode in una sinistra girandola di violenza, c'è sempre qualche anima bella disposta a meravigliarsi e perfino a indignarsi. Allora, però, è troppo tardi. E' un po' come le streghe e gli untori, all'esistenza dei quali si crede distrattamente finché arriva la peste: e allora essi diventano il capro espiatorio di una società che ha bisogno d'identificare il Nemico Metafisico, la causa unica o prevalente delle sue disgrazie.
Ecco perché il caso-Casari è molto più grave di quanto già non appaia dall'enormità del delitto del quale il giovane pistoiese si è reso responsabile. Perché esso costituisce la punta di un iceberg fatto di pregiudizio, d'ignoranza, di paura, di malafede e cresciuto per colpa di tutti noi: o perché lo abbiamo aiutato a crescere, o perché non siamo stati abbastanza lucidi ed energici da ostacolarlo in modo deciso ed efficace. Nei prossimi mesi, tutto sarà più difficile perché peggiori saranno le condizioni economiche. Sarebbero d'altro canto seri guai, se la coscienza dell'innocenza dei senegalesi dovesse nascere solo dalla compassione per i soprusi che hanno dovuto subìre. E più seri ancora se essi decidessero di organizzarsi per non subirne più. Ecco perché la stessa nobile solidarietà dimostrata dai commercianti fiorentini nei confronti delle vittime della furia omicida del Casari, per esemplare che sia, cela essa stessa un rischio: quella del generare fronti contrapposti e di alimentare la spirale della vendetta. E' così che cominciano le guerre civili.

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