venerdì 31 dicembre 2010

Le proposte di Alternativa, serate culturali

le proposte di
Alternativa

fare politica” e “fare cultura”

Alternativa, il laboratorio politico-culturale fondato da Giulietto Chiesa, intende promuovere una serie di iniziative che inaugurino un nuovo modo di “fare politica” e di “fare cultura”.

L’agenda della politica è di solito dettata dalle urgenze immediate, dall’attualità ordinaria e i dibattiti vertono su questioni a corto raggio (non prendiamo in considerazione il linguaggio autoreferenziale della Casta). Da parte sua l’agenda della cultura tende ad essere percepita come dimensione parallela e “astratta”, anche piacevole da frequentare (si pensi al successo di pubblico dei tanti festival della scienza, della filosofia, della mente, dell’anima...), ma poi l’evento culturale finisce spesso con l’ esaurirsi in se stesso e non lascia traccia. Noi riteniamo che una cultura che non incida sul modo ordinario di vedere le cose, che non attivi riflessioni critiche e che non ci disponga ad agire diversamente sul mondo, è una cultura che tradisce la sua essenza.

Questa separazione tra dimensione politica e culturale si può constatare in gradi diversi anche nel vastissimo arcipelago delle associazioni, dei gruppi, e soprattutto dei “Comitati”. Quest’ultimo è il fenomeno più caratteristico nel recente panorama politico nazionale: il sorgere spontaneo di comitati –da quelli di quartiere fino a quelli di maggior consistenza, come la NO-TAV - che nascono allo scopo di contrastare virulente aggressioni al territorio che si traducono in equivalenti aggressioni alle condizioni di vita degli abitanti. Sono esperienze straordinarie di reazione civile che in molti casi producono, ciascuna nel proprio ambito, documenti, analisi e mobilitazioni di grande valore.

Il punto su cui riflettere è il seguente: questi fenomeni di devastazione del territorio con drammatiche conseguenze sulla vita delle popolazioni, hanno sì forme diverse a secondo dei casi e dei luoghi, ma hanno in comune di essere tutti riconducibili ad uno specifico atteggiamento dell’uomo moderno nei confronti della Natura, inscritto in un contesto di potenza tecnica storicamente inedito e in un capitalismo che opera senza più limite alcuno.
Ebbene, nella tradizione della cultura occidentale esistono filoni di pensiero che consentono di comprendere questi fenomeni, solitamente vissuti dalle persone come fatti locali e contingenti, nel loro spessore storico e nel significato profondo; e consentono di elaborare chiavi di lettura, strumenti e linguaggi che proietterebbero le tante lotte in corso in un orizzonte più ampio, dando loro ben altra forza, perché le sottrarrebbe al localismo, quindi alla sconfitta certa.

Alternativa intende promuovere, su scala nazionale, ovunque possibile, iniziative che si muovano in tale direzione.



Una prima esperienza in tal senso è programmata a Firenze, nei giorni di domenica 16 e domenica 23 gennaio presso Palazzo Pucci (circolo “La gabbia matta”), via dei Pucci 2, alle h. 17.oo (puntuali)


Due seminari pubblici di lettura dell’opera di Hans Jonas
Il principio responsabilità
Un’etica per la civiltà tecnologica

I due seminari avranno per oggetto l’analisi delle tesi che Hans Jonas (1903-1993) espone nella sua opera Il principio responsabilità (sottotitolo: Un’etica per la civiltà tecnologica).
In questo scritto Jonas, affronta un ampio spettro di problematiche, in particolare indaga alla radice il rapporto uomo-tecnica e uomo-ambiente nella civiltà tecnologica. L’originalità del suo pensiero consiste nel fornire un’interpretazione tale da ridefinire i termini del dibattito al di fuori dell’usuale contrapposizione laici-credenti. Si tratta di un aggiornamento necessario per orientarsi con maggior senso critico in una delle questioni cruciali del nostro tempo.
Le sue tesi, comprensibili anche a un pubblico non di specialisti della filosofia, hanno il merito di destabilizzare alcuni presupposti culturali funzionali all’attuale configurazione del capitalismo e di costituire una base teorica da cui far scaturire prassi politiche davvero alternative.
La lettura sarà condotta dal prof. Fabio Bentivoglio, docente di storia e filosofia, autore di saggi e manuali di storia e di filosofia per i Licei.

Hans Jonas, due incontri con Fabio Bentivoglio a Firenze

Hans-Jonas-Alternativa-Giulietto-Chiesa

giovedì 30 dicembre 2010

Firenze, il 19 gennaio convegno sulle grandi opere.

GRANDI OPERE
impatti, problemi, affari

Perché il progetto di attraversamento AV di Firenze dovrebbe costare dieci volte più di quanto possibile?

Un viaggio nella politica e nell'economia italiana degli ultimi 15 anni per capire i cambiamenti avvenuti nel settore delle infrastrutture, come queste hanno perduto ogni collegamento con la realtà per divenire strumento di ristrutturazione sociale e un grave problema per la democrazia in Italia, come è cambiata l'impresa italiana trasformatasi da produttrice manifatturiera a divoratrice di territorio, come è cambiata la politica che ha abiurato il suo ruolo di programmazione e di indirizzo per diventare cinghia di trasmissione del sistema delle grandi opere inutili, come il mondo oscuro dell'economia delle varie mafie ha fatto il suo trionfale ingresso nell'economia italiana.


Relatori:

Alberto Ziparo, urbanista
Ivan Cicconi, esperto lavori pubblici e infrastrutture
Ferdinando Imposimato, magistrato, ex membro della commissione antimafia


Seguirà dibattito con rappresentanti di movimenti politici e ambientalisti italiani.

19 gennaio 2011,
ore 15:00

Gruppo Tecnico di Studio del Sottoattraversamento AV di Firenze

Comitato contro il Sottoattraversamento AV di Firenze

con la collaborazione dei gruppi consiliari

perUnaltracittà


Sinistra e Libertà


Gruppo Spini per Firenze




giovedì 23 dicembre 2010

Uniti e Diversi, comunicati stampa dell'Assemblea

ComStampaDefinitivoDopoBologna18dic10

Relazione di Maurizio Pallante all'Assemblea di Uniti e Diversi Bologna 18 dicembre 2010

10 12 18 Bologna Relazione Pallante

La storia in pericolo di Annie Lacroix-Riz

Riprendiamo qui un interessante articolo di Annie Lacroix-Riz, uscito su Historiographie in Francia e poi tradotto da Resistenze, che ringraziamo.

L'articolo è tanto più significativo, perché si riferisce a un paese in cui la conoscenza della storia ha giocato (finora) un ruolo molto più importante che in Italia.


www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 16-12-10 - n. 345

da www.historiographie.info/fin2010/histendanger.pdf
Traduzione dal francese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
La Storia in pericolo
 
di Annie Lacroix-Riz, storico, professore emerito di Storia Contemporanea, Università di Parigi 7
 
Le scienze sociali sono al centro dell'offensiva generale contro l'università, in particolare la storia, il cui status risulta strettamente associato agli sviluppi politici in Francia a partire dal 19° secolo.
 
Uno scadimento considerevole dei contenuti si è verificato negli ultimi 20 anni: misurabili nei cambiamenti dei manuali di storia a tutti i livelli di istruzione. Ciò è stato favorito dallo spostamento verso destra della professione, caratterizzato da una maggior sottomissione delle élite accademiche alla volontà e alle pressioni dei circoli dominanti, e una rimessa in causa, accettata dalle élite stesse e formalmente rivendicata da alcuni, dei metodi tradizionali di ricerca storica: contestazione della priorità di ricorrere agli archivi originali, rinuncia al "positivismo" basato sull'approfondimento, promozione della storia della "rappresentazione" a scapito della ricerca per oggetto o della verità storica, supremazia di alcuni temi o soggetti: la "storia di genere" importata direttamente dagli Stati Uniti, la "storia culturale", la "storia dell'industria" (direttamente controllata dai circoli dirigenziali e governativi); ciascuna di queste specialità protesa a rompere all'occorrenza tutti i legami con la storia delle classi sociali, ecc.
 
Il controllo sulla ricerca storica da parte dei circoli dirigenti non è certo un fenomeno nuovo ma si è accresciuto dal 1990. E' manifesto nelle missioni e commissioni ufficiali affidate dai vari governi a studiosi condiscendenti che godono di una dimensione mediatica e nella creazione sistematica di gruppi di ricerca istituzionale finanziati direttamente da grandi gruppi (Banca di Francia, SEITA, RATP, ecc.), che pongono in una situazione di dipendenza finanziaria e quindi scientifica i professori e ricercatori. In questo contesto congiunturale alcune specialità storiche sono diventate più pericolose che mai per le carriere e le promozioni ed hanno perso ogni attrattiva. Tra le liquidazioni va registrata quella clamorosa della storia del movimento operaio, la cui crescita, per quando modesta fosse, aveva accompagnato l'esistenza di un importante partito rivoluzionario. Disponiamo in tale ambito di un esempio paradigmatico, da un lato il parallelismo tra congiuntura politica e status della storia, e, dall'altro, il nesso diretto tra la distruzione (o autodistruzione) del PCF e le condizioni oggettive della professione di storico.
 
Nello stesso periodo il dibattito storico, parte organica del buon funzionamento della professione, è scomparso in favore della diffusione mediatica accordata ai "dibattiti" in cui tutte le parti interessate concordano sui principi fondamentali. Ciò vale per la maggior parte dei seminari "scientifici" ed è simboleggiato negli "appuntamenti storici di Blois", che, svolgendosi ogni anno nel mese di ottobre, incarnano questo consenso della destra-sinistra di governo, su tutti gli argomenti, dall'"Europa" al "denaro". Simposi e congressi riuniscono salvo eccezione "la scienza consensuale", che esclude qualsiasi questione controversa rispetto alle tesi dominanti. Il fenomeno è reso sistematico dalle difficoltà, sempre più gravi, dei finanziamenti pubblici e nazionali alla ricerca: la recente "riforma dell'università" completa un processo già in atto. Il finanziamento "europeo" rafforza quindi le tendenze peculiari della Francia: tutte le conferenza "europee" si svolgono in un quadro ideologico definito in senso pienamente "europeista". La produzione storica è oramai associata a etichette ufficiali, raccomandate dalle autorità accademiche attraverso le bibliografie dei concorsi per l'accesso alla professione, ideologicamente unilaterali, a volte direttamente partorite dalla "stampa" europea di Bruxelles. I concorsi stessi, una volta depositari della qualità scientifica della storia francese, sono stati investiti, con la complicità di accademici "europeisti" e proseliti, dall'apologia sulla "Unione europea", presentata come un felice imperativo storico dopo la seconda guerra mondiale (quesito posto nei concorsi dal 2007 al 2009). Le bibliografie correlate sono approvate dalla rivista corporativa dell'APHG (Associazione dei Professori di storia e geografia della pubblica istruzione), Historiens et Géographes. La storia contemporanea è grosso modo in linea con la Facoltà di Scienze Politiche e con la rivista L’histoire, breviario dell'anticomunismo e dell'anti-marxismo e del pensiero fureto-courtoisienne (Il libro nero del comunismo), che negli ultimi decenni ha compiuto vere o proprie devastazioni nell'istruzione secondaria e superiore.
 
I manuali di studio, diretti da docenti universitari allineati agli orientamenti in corso, sono stati adattati, senza alcuna resistenza, ai "programmi" costantemente rielaborati e impoveriti da parte del Ministero della Pubblica Istruzione. Lo studio della crisi del 1930 è stato bandito nelle scuole secondarie, soppresso insieme ad altri temi per abolire la conoscenza e la riflessione sui sistemi economici. I vari libri di testo ubbidiscono alla prescrizione dello studio combinato del "totalitarismo", confondendo nell'ambito della stessa lezione i regimi fascisti e il "regime staliniano". L'APHG ha fornito nel marzo 2007 il suo sostegno ufficiale alla diffusione, patrocinata dal Ministero della Pubblica Istruzione, di un lungo documentario (100 minuti) in onda su M6, emittente culturale oltre tutto, di "Stalin, il tiranno rosso", insulto all'intelligenza del pubblico e beverone servito oggi alla popolazione francese in generale e soprattutto alla sua gioventù.
 
Gli ultimi venti anni, sotto i governi di "sinistra" come di destra, hanno visto la storia indebolirsi nell'istruzione secondaria, anche nei cicli lunghi (tre ore negli indirizzi scientifici, invece di quattro). Negli indirizzi scientifici, dove vengono formati i futuri responsabili dell'organizzazione del lavoro degli altri, la storia, nel quadro della "riforma delle scuole superiori" che promette di essere altrettanto drastica che all'università, verrà resa facoltativa, cioè soppressa. Ciò ridurrà la storia al ruolo che occupa negli Stati Uniti: la massa della popolazione laggiù è privata dell'accesso alla benché minima conoscenza storica, condizione ideale affinché storia e propaganda si fondano in un tutt'unico.
 
Lo spostamento a destra della professione, favorito dalla situazione politica francese, dalla selezione sociale (vedi sotto) e dalla scomparsa o la diminuzione dei contenuti scientifici, tuttavia, non ha raggiunto l'obiettivo di liquidazione della storia. Quindi, in ultima analisi, questa incontrollabile disciplina richiede un intervento diretto. Nel 2008 la nuova legge sugli archivi, che sostituisce quella del 1979, ha fornito il pretesto per il tentativo "parlamentare" di procrastinare l'apertura degli archivi statali (fino a 75 anni invece di 30 o 60 anni): il successo di questa impresa avrebbe reso impossibile studiare la storia della Francia del 20° secolo. Il "dibattito" si è svolto attorno ai termini di prescrizione legislativi imposti ai docenti e ai ricercatori rispetto la grande missione civilizzatrice e coloniale francese. La protesta degli storici, più sensibili a questo tipo di attacco diretto che agli attacchi insidiosi a lungo termine, ha contribuito all'abbandono di alcune pretese, ma tale arretramento non deve indurre in errore.
 
La "Riforma delle Università", in salsa "europea" già menzionata, deve completare la missione liquidatrice. Tutto vi contribuirà: la "autonomia" degli istituti; la privatizzazione delle risorse, poiché ingenti fondi pubblici sono assegnati col "credito sulla ricerca", una forma di finanziamento pubblico senza verifica dell'uso privato; la dittatura dei presidi delle Università sulle assunzioni, sui tempi di lavoro del personale qualificato come "ricercatore" e "non-ricercatore" (offensiva contro il decreto del 1984, bloccata nel 2009: per quanto tempo?), sulla carriera, sulla scelta delle opzioni di insegnamento e ricerca, in particolare attraverso i finanziamenti; la precarietà crescente del corpo degli insegnanti/ricercatori; la "secondarizzazione" della maggior parte delle università, ridotte al primo ciclo (con chiusura dei corsi poco numerosi e il raggruppamento di altri)
 
Sei anni fa, l'offensiva contro lo statuto della funzione pubblica o thatchérizazione in senso stretto è stata annunciata al cospetto dei cenacoli riservati delle grande scuole ereditate dai club sinarchici [si fa riferimento ai poteri occulti], dove siedono Michel Pebereau, allora presidente di BNP Paribas, Eric Woerth allora "segretario di Stato per la Riforma dello Stato" il 18 giugno e il 7 ottobre 2004 (Nos débats, n. 8, ottobre 2004). La tempesta in corso - la liquidazione di fatto e di diritto dello statuto della funzione pubblica del novembre del 1946 è stata descritta con dovizia di particolari, essendo attualmente in corso, in assenza finora di una reazione forte del sindacato. Avrà certamente un impatto diretto sul livello generale dei salari francesi: tendendo a eliminare il principio del "salario di sussistenza" previsto nello statuto del 1946, favorendo la definizione di salari, anche nel settore privato, a livelli molto bassi.
 
Ma questo assalto non riguarda solo i salari, diretti e indiretti, dei funzionari e dei non-funzionari. Aggredisce anche frontalmente l'indipendenza delle discipline, tra cui la storia, (le scienze economiche, la cui indipendenza o il senso critico irrita MEDEF [confindustria francese], la filosofia e le altre scienze sociali, sono tutte oggetto dei medesimi tentativi). La scomparsa delle tutele basilari del 1946 è stata faciltata all'università (intesa nel senso più ampio) dalla sempre minor importanza dei concorsi, in particolare dal 1980 sotto i governi di "sinistra" e di destra, procedendo ora a ritmo accelerato.
 
E' stata concomitante alla riforma "europea" della "LMD" (Laurea, Master, Dottorato) nel 2005, presentata in modo molto coinvolgente, ingannando la maggior parte degli accademici. Avrebbe dovuto garantire un "livello" di formazione teorica crescente, ma non più sancita da un concorso né da uno statuto: la durata degli studi è stata elevata di uno o due anni, ma senza nessuna sicurezza aggiuntiva che ne sanzioni l'accrescimento. Il contenuto scientifico degli studi è stato altresì indebolito dalla "riforma", in particolare dalla "semestralizzazione" dei corsi una volta annuali. La "riforma" in corso dal 2008-2009, riserverà i concorsi a una minoranza di discipline ancora più ristretta dell'attuale: una buona metà degli studenti è composta da lavoratori salariati, già pesantemente scoraggiati a perseguire i loro studi, visto che hanno bisogno in media di un percorso due volte più lungo rispetto ai loro colleghi non salariati per concludere gli studi. Saranno anche qui, doppiamente colpiti dalla "riforma": chi aspetterà fino all'età di 30 anni o più per accedere alla professione di insegnante?
 
La promessa di "rivalutazione" delle carriere nella scuola superiore - sostenuta per molti anni dal sindacalismo una volta combattivo (cioè dalla FSU, e non solo dal sindacalismo ufficiale concertativo sullo stile CFDT o UNSA) - comporterà, a causa della riduzione delle assunzioni, la generalizzazione del personale precario. Per non parlare degli effetti della legge sulla "mobilità" di agosto 2009, che permetterà di licenziare quelli che ancora beneficiano dello statuto programmando licenziamenti nell'ordine delle decine di migliaia ogni anno, con l'eliminazione delle posizioni di ruolo. I precari saranno la maggioranza e saranno costretti a orari rimessi ai capricci dei dirigenti (il governo di sinistra è pienamente d'accordo con la destra sulle "35 ore" minime di presenza a scuola) e non saranno più in grado di fare ricerca, mentre la secondaria è stata dal 19° secolo un vivaio di ricerca storica (o letteraria) in Francia.
 
La soppressione del CNRS [Centro Nazionale Ricerche Scientifiche], completa le numerose misure adottate contro la ricerca presso l'università, portando a compimento la missione. Il personale ridotto a una situazione di precarietà, sottomesso ai dirigenti delle scuole, costretto a contratto brevi di ricerca e limitati agli obiettivi fissati dagli istituti (presidenti di università e altri leader della ricerca in Francia), gli storici saranno privati della benché minima indipendenza economica e intellettuale garantite dopo la Liberazione. Questo significa che il salvataggio del lascito della Liberazione, compreso lo statuto della funzione pubblica di Maurice Thorez, è fondamentale per il futuro della scienza francese in generale, e della storia in particolare, per la vita e il lavoro di tutti i docenti e ricercatori. Il destino della storia in Francia, disciplina il cui carattere decisivo è legato alla sua integrazione nel dibattito politico nazionale all'indomani della Rivoluzione francese, dipendente direttamente dalle risposte politiche che saranno date alla crisi sistemica. Ogni riflessione sulle possibili soluzioni richiede un esame lucido del bilancio catastrofico che accomunano nella materia la destra attualmente al governo e la "sinistra" che le si è inesorabilmente alternata dal 1981.
 
(Per i dettagli sugli argomenti trattati si confronti dello stesso autore, L’histoire contemporaine sous influence, Pantin, Le temps des cerises, 2004, 145 p., tirage 2010, e il suo sito, http://www.historiographie.info /, rubrique travaux)
 
Saggio uscito su Initiative communiste, n° 100, settembre 2010, p. 22, et n° 101, ottobre 2010, p. 12-13

mercoledì 22 dicembre 2010

Uniti e Diversi, la relazione introduttiva di Maurizio Pallante all'assemblea di Bologna

Pubblichiamo la relazione introduttiva che è stata presentata da Maurizio Pallante sabato 18 dicembre a Bologna, nel corso della prima assemblea pubblica di Uniti e Diversi, il nuovo soggetto politico che lancia la sfida alla casta.

L’incontro di oggi è il primo momento pubblico di un percorso avviato da un coordinamento di liste civiche e movimenti di cittadinanza attiva che operano nella provincia di Torino su posizioni radicalmente contrapposte alle scelte di politica economica, amministrativa e ambientale sostenute, senza sostanziali differenze, da un sistema di potere in cui confluiscono i partiti politici che amministrano, seppure con maggioranze diverse, la regione, la provincia e la città capoluogo, in accordo con i centri del potere economico e finanziario.

Una sfida impari, con i rapporti di forza resi ancor più sfavorevoli dalla mancanza di collegamenti con altri gruppi e movimenti operanti con modalità analoghe e per gli stessi obbiettivi in altre aree del Paese.

Per favorire il confronto tra queste realtà e verificare la possibilità di realizzare forme di coordinamento tra di loro, la rete torinese delle liste civiche e dei movimenti di cittadinanza attiva ha invitato il 16 ottobre scorso a Torino sette esponenti di movimenti culturali e politici diffusi sul territorio nazionale a discutere un documento in cui riassumeva le sue riflessioni e le sue proposte sulla situazione economica, politica, ambientale.

Una sorta di manifesto che definiva le coordinate e i criteri della discussione. Quattro dei sette testimoni invitati si sono ritrovati sostanzialmente d’accordo sull’impostazione del documento e lo hanno integrato con l’apporto delle loro specifiche sensibilità.

Essendo state condivise le integrazioni apportate, i quattro testimoni e gli esponenti della rete torinese le hanno formalizzate in due riunioni successive e hanno deciso di sottoporre il documento così integrato a dibattito pubblico con l’obbiettivo di verificare se possa costituire la base del processo di aggregazione di un nuovo soggetto politico.

Questa è la finalità dell’incontro di oggi. A coloro che, tra i partecipanti a questo incontro a titolo personale o a nome di una lista civica, associazione, movimento, si riconosceranno nelle analisi e nelle proposte scritte in questo documento, o condividendolo nelle sue linee generali proporranno integrazioni per renderlo più completo, i promotori propongono di avviare un percorso comune.

Sarà un percorso di una durata non definibile a priori, ma che dovrà comunque essere sufficiente a delineare le linee guida di un progetto di futuro condiviso e le sue tappe intermedie, una struttura organizzativa democratica, partecipata e scevra da ogni personalismo, proposte politiche concrete, documentate, realizzabili: proposte che siano finalizzate a superare la crisi ambientale, a creare occupazione in attività che riducano il consumo di risorse, la produzione di rifiuti e l’impatto ambientale, a favorire la pace eliminando le cause dei conflitti, in particolare l’iniqua distribuzione delle risorse tra i popoli, a consentire la piena esplicazione delle potenzialità di ogni essere umano, a realizzare forme di democrazia che favoriscano la piena attuazione del dettato costituzionale, sia dal punto di vista della partecipazione dei cittadini alla gestione delle scelte che li riguardano direttamente, sia dal punto di vista della pluralità dell’informazione.

Il documento che accomuna i promotori e che invitiamo oggi a discutere, implementare, correggere - tenendo conto che non è una summa in cui inserire l’elenco e i titoli di tutte le tematiche, ma un manifesto generale da cui dovranno scaturire nei prossimi mesi una serie di contributi settoriali approfonditi - definisce a grandi linee l’identità del soggetto politico che proponiamo di costruire.

Il documento indica i punti di riferimento imprescindibili del tragitto che proponiamo di seguire, sintetizza i riferimenti culturali in cui riteniamo sia indispensabile riconoscersi se si vuol partecipare alla costruzione del progetto a cui oggi contiamo di dare avvio.

Non intendiamo chiudere la discussione a chi non si riconosce in tutti gli elementi fondanti della nostra proposta, ma l’obbiettivo con cui abbiamo convocato questa riunione non è avviare un confronto di questo tipo perché non saremo in grado di farlo fino a quando non avremo definito almeno con una certa approssimazione la nostra identità.

L’obbiettivo della discussione di oggi è individuare gli elementi di fondo di una identità condivisa tra chi si riconosce nelle linee di fondo indicate nel documento che ci accingiamo a discutere. In gruppi di lavoro nella mattinata. In seduta plenaria il pomeriggio. Una volta che avremo superato questo passaggio non ci sottrarremo al confronto con chi ce lo chiederà.

Il primo punto che accomuna i promotori di questo incontro, un punto da cui derivano tutti gli altri e su cui intendiamo dare una forte caratterizzazione al soggetto politico che ci proponiamo di costituire, deriva dalla valutazione che la crisi in corso da più di due anni nei paesi industrializzati è una crisi di sistema, determinata dalla convergenza e dai feed back reciproci di più crisi, tutte causate dalla finalizzazione dell’economia alla crescita della produzione di merci e dal raggiungimento del limite oltre il quale questa crescita comincia a distruggere i suoi stessi fondamenti vitali, così come accade nelle neoplasie. Nel determinare questa crisi di sistema confluiscono:

Nel determinare questa crisi di sistema confluiscono:

1. La crisi economica: che è essenzialmente una crisi di sovrapproduzione determinata dal fatto che le innovazioni tecnologiche finalizzate ad aumentare la produttività e la competitività, riducono la domanda riducendo l’occupazione e contestualmente accrescono l’offerta. La saturazione dei mercati dei prodotti su cui la crescita si è fondata dal secondo dopoguerra a oggi (in particolare l’automobile e l’edilizia) ha aggravato questo divario a tal punto che le tradizionali misure di politica economica finalizzate all’aumento della domanda attraverso la spesa pubblica in deficit non hanno avuto gli esiti espansivi sperati e hanno soltanto aggravato i debiti pubblici di molti paesi fino all’insolvenza.

2. La crisi ecologica, che è determinata:

- dal progressivo esaurimento di molte risorse non rinnovabili (in particolare, ma non solo, le fonti fossili di energia);

- da un incremento esponenziale degli scarti liquidi, solidi e gassosi derivanti dai processi produttivi, dall’uso di molti prodotti e dai rifiuti in cui si trasformano i prodotti quando vengono dismessi; molte di queste emissioni hanno superato le capacità dell’ecosistema terrestre di metabolizzarle, in particolare i gas climalteranti e i rifiuti solidi nelle aree urbane e negli oceani (dove galleggiano agglomerati di pezzi plastica di un’estensione pari a un continente);

- da un progressivo esaurimento della fertilità dei suoli agricoli in conseguenza del loro supersfruttamento chimico, da una perdita esponenziale di biodiversità, da una rarefazione preoccupante delle risorse alieutiche;

3. La crisi sociale, che nei paesi industrializzati si manifesta con un aumento della disoccupazione, soprattutto giovanile, con la distruzione dei legami sociali, con la diffusione della povertà e di nuove forme di povertà.

4. La crisi morale, che deriva sostanzialmente dal fatto che finalizzando l’organizzazione economica e produttiva alla crescita della produzione di merci, il denaro è diventato il principale riferimento del sistema dei valori condivisi e ha subordinato a sé tutti gli altri che regolano la convivenza civile.

5. La crisi della politica, che dalla parte degli elettori si manifesta con una progressiva riduzione delle percentuali dei votanti, da parte degli eletti con la sottrazione agli elettori della possibilità di scegliere i propri rappresentanti nelle istituzioni, con la trasformazione dei partiti in oligarchie di superprivilegiati, con la sottomissione della sfera politica a quella economica e finanziaria, con la riduzione della dimensione temporale delle scelte alla durata delle legislature e la mancanza di una visione del futuro, col monopolio dell’informazione ridotta sempre più a propaganda.

6. La crisi internazionale, che si manifesta con l’aumento del divario tra i popoli poveri e i popoli ricchi, con le guerre per il controllo delle risorse, non solo energetiche, ma di altri minerali strategici come, per esempio, il coltan, con la minaccia di altre guerre di dimensione più vasta dove non si esclude l’uso di armi nucleari, con l’avvio di tensioni internazionali destinate a sfociare in altre guerre per il controllo dell’acqua.

Le cause di questa crisi di sistema e di tutte le crisi settoriali che contribuiscono a determinarla sono insite nella crescita della produzione di merci che caratterizza il modo di produzione industriale. I tentativi di superare le crisi indotte dalla crescita della produzione di merci rilanciando la crescita della produzione di merci attraverso un incremento della domanda e dei consumi hanno dimostrato di non essere più efficaci, perché non ci sono più margini per accrescere ulteriormente il prelievo delle risorse e la terra non è più in grado di metabolizzare ulteriori quantità di rifiuti liquidi, solidi e gassosi.

Finché si continua a perseguire l’obbiettivo della crescita, tutti gli aspetti della crisi sono destinati ad aggravarsi. Possono essere superati solo se si abbandona questo obbiettivo.

Dopo 250 anni si sta chiudendo la fase storica avviata dalla rivoluzione industriale. Per fare in modo che questo tornante della storia non sia contrassegnato da una serie di disastri e da un regresso dell’umanità verso una conflittualità diffusa e dalla lotta di tutti contro tutti, occorre aprire una nuova fase storica, contrassegnata da una riduzione controllata e guidata della produzione di merci, del prelievo di risorse e dell’emissione di scarti a livelli sopportabili dal pianeta.

Affinché ciò si possa realizzare senza introdurre pesanti restrizioni nel tenore di vita dei popoli occidentali, perché ne deriverebbero reazioni negative nei confronti dei proponenti, consentendo anzi di ampliare la quota delle risorse a disposizione dei popoli poveri, occorre una rivoluzione culturale capace non solo di definire e rendere desiderabili nuovi stili di vita più sobri e più responsabili, ma anche di promuovere un grande sviluppo di tecnologie capaci di accrescere l’efficienza con cui si usano le risorse, di attenuare l’impatto ambientale dei processi produttivi e di riutilizzare i materiali già utilizzati eliminando il concetto stesso di rifiuto.

Solo una decrescita guidata lungo queste direttive può aprire una nuova fase più evoluta nella storia dell’umanità trasformando la crisi che stiamo vivendo in una grande e irrepetibile occasione di cambiamento e miglioramento.

La decrescita è primo pilastro su cui si è basato il percorso sin qui svolto tra i soggetti proponenti. In questa sede viene proposto per la prima volta pubblicamente come elemento fondativo di un progetto politico aperto a tutte le realtà associative e a tutti i soggetti che ne riconoscono l’imprescindibilità per superare la crisi di sistema che l’umanità sta vivendo.

Lo scopo del confronto che proponiamo a questi soggetti è ricavarne una serie di obbiettivi concreti, a livello di politica economica, industriale, occupazionale, amministrativa, di cambiamenti negli stili di vita, di valori e modelli di comportamento, di relazioni sociali, di relazioni internazionali.

Tutti i partiti esistenti pongono al centro delle loro scelte politiche la crescita della produzione di merci. Tutte le formazioni politiche di destra e di sinistra sono accomunate da questo obbiettivo. E non poteva essere diversamente perché la loro cultura e la loro storia, le loro classi sociali di riferimento - imprenditori, professionisti, commercianti, lavoratori dipendenti – si sono sviluppate nell’epoca dell’industrializzazione.

La differenza di fondo tra destra e sinistra consiste nei diversi criteri di distribuzione tra gli attori sociali del reddito monetario generato dalla crescita della produzione di merci.

La destra ritiene che le parti debba farle il mercato. La sinistra sostiene che se le parti le fa il mercato, i più forti prendono le quote più grandi lasciando ai più deboli solo il necessario per la sopravvivenza. È quindi compito dello Stato realizzare una più equa redistribuzione del reddito monetario prodotto mediante la tassazione progressiva e i servizi sociali.

Ma l’equità sociale e la difesa dei più deboli sono valori universali e atemporali, non un patrimonio esclusivo della sinistra. Sono precedenti alla sinistra e non verranno meno con la sua fine. Possono essere condivisi, e noi li condividiamo, anche senza essere schierati a sinistra.

Ciò precisato, un soggetto politico che ponga la decrescita a fondamento della sua elaborazione teorica e delle proposte politiche concrete che se ne possono ricavare, è costituzionalmente alternativo sia alla destra, sia alla sinistra.

Non perché si ponga in una posizione di equidistanza tra di esse, ma perché si muove in un piano definito da altre coordinate rispetto al piano in cui si collocano le opzioni di destra e di sinistra.

Perché non si propone di agire all’interno della cornice storica del modo di produzione industriale, ma di uscirne.

Perché non pone il “sempre di più” a fine del fare, ma il “sempre meglio” a fine di un fare connotato qualitativamente, con la consapevolezza che spesso il meglio coincide col meno.

Una casa ben costruita consuma meno energia di una casa mal costruita, perché non ne disperde. Richiede una tecnologia più evoluta, quindi un progresso scientifico e tecnologico, riduce le emissioni di CO2 e la crescita del PIL. Contribuisce, per poco che sia, a migliorare il mondo e la qualità della vita non solo di chi ci vive, ma anche di chi ci vivrà proprio perché comporta una decrescita del consumo di merci che non solo non hanno un’utilità effettiva, ma generano danni ambientali e alla salute.

Se il movimento politico che ci proponiamo di costruire è costituzionalmente alternativo alla destra e alla sinistra, non potrà stringere alleanze strategiche con nessuno dei due schieramenti.

Ammesso che riceva i voti necessari per entrare nelle assemblee elettive, ed escludendo, come è sensato pensare, che possa avere maggioranze assolute, non potrà far parte di nessuna coalizione di maggioranza.

Non potrà avere rappresentanti in nessun esecutivo di coalizione con partiti che si propongono di sostenere la crescita con i piccoli poteri conferiti dal ruolo istituzionale.

Ma pur rimanendo all’opposizione dovrà sempre agire con un’ottica di governo.

Non potrà limitarsi a contrastare le decisioni altrui, ma dovrà formulare sempre “proposte propositive”. Non potrà limitarsi nemmeno a formulare proposte propositive in alternativa a decisioni altrui, perché in questo modo si limiterebbe comunque ad agire di rimessa. Dovrà prendere l’iniziativa e formulare proposte coerenti con il progetto di futuro fondato sulla decrescita di cui si fa portatore, cercando di volta in volta le alleanze che consentono di farle passare.

Chi ha l’ambizione di farsi portatore di una concezione del mondo alternativa a quella dominante deve utilizzare le assemblee elettive per realizzare passi concreti in quella direzione, dimostrandone la fattibilità e la desiderabilità, coinvolgendo chi milita in organizzazioni politiche diverse con onestà d’intenzioni e facendo venire allo scoperto chi vi si oppone per altre ragioni.

Per fare un esempio: l’opposizione al nucleare, se sostenuta da un programma realistico e rigoroso di riduzione degli sprechi accompagnato da una progressiva sostituzione delle fonti fossili con fonti rinnovabili in piccoli impianti per autoconsumo, può farci trovare alleati non solo tra coloro che temono i pericoli insiti nella irresponsabile scelta energetica nucleare, ma anche in un vasto fronte di imprenditori che posseggono le tecnologie per realizzare queste alternative e in una vasta area di opinione pubblica che comunque desidera una soddisfazione adeguata delle proprie esigenze energetiche senza eccessive rinunce.

Tuttavia le proposte di una politica energetica nell’ottica della decrescita non possono essere formulate come alternativa alla proposta di costruzione di centrali nucleari, come hanno fatto e continuano a fare i verdi italiani (e questa è una delle ragioni per cui sono scomparsi dalla scena politica). Devono essere formulate e sostenute di per sé, perché sono tasselli essenziali del nostro progetto di futuro, anche se nessuno ponesse all’ordine del giorno il rilancio del nucleare.

La radicale alterità a un sistema politico incentrato sulla dialettica tra due schieramenti contrapposti che perseguono la stessa finalità della crescita con metodi sempre meno diversificati, comporta anche una gestione del ruolo istituzionale con metodi radicalmente differenti.

Per il soggetto che proponiamo di costituire l’impegno politico nelle istituzioni è inteso come servizio pro tempore e non come professione. La permanenza in un organismo elettivo non può superare i due mandati, senza nessuna eccezione.

Le retribuzioni e i benefit degli eletti devono essere drasticamente ridotti.

Bisogna coinvolgere la società civile, cioè tutte le forme aggregative in cui si riuniscono sulla base di una qualche affinità gruppi di persone per perseguire un fine comune, nella discussione e nella formulazione delle scelte politiche che le riguardano.

La democrazia, per usare una formulazione che ha trovato in Giorgio Gaber il suo cantore, è partecipazione.

Pertanto i nostri referenti privilegiati sono tutti i movimenti che si contrappongono alle scelte devastanti per i luoghi in cui vivono, proposte-imposte dal sistema di potere economico-finanziario-politico-mediatico in base alla necessità della crescita.

Perché in quelle forme aggregative la partecipazione democratica si è già realizzata.

La nascita di questi movimenti negli anni ottanta è stata contrassegnata da un atteggiamento che è stato spregiativamente definito Nimby (Not In My Back Yard). Non nel mio giardino. Questo atteggiamento era indubbiamente criticabile perché non finalizzato a perseguire alternative ecologicamente accettabili a problemi ambientali che creavano preoccupazioni (la costruzione di un inceneritore, di una discarica, di una centrale termoelettrica, di un’autostrada), ma a spostarli da un’altra parte.

Tuttavia è stato il primo segnale con cui si è manifestata la crisi dell’egemonia culturale esercitata dall’industria in nome della crescita e dell’occupazione.

Nei decenni precedenti ogni impianto industriale, per nocivo che fosse, era salutato come una benedizione perché portatore di reddito, di modernità, di progresso, di lavoro.

Questa fase iniziale dei movimenti ha inoltre avuto il merito di aver avviato forme di coinvolgimento diretto delle popolazioni nelle decisioni che influiscono pesantemente sulla propria vita.

È stata l’incubatrice di forme di democrazia diretta, di confronti a muso duro con le pretese dei politici di avocare a sé il potere decisionale, di prese di coscienza collettive. In questo contesto è maturata la seconda fase dei movimenti, in cui l’opposizione ai progetti devastanti è stata accompagnata dall’elaborazione di controproposte finalizzate a contemperare le esigenze del lavoro con le esigenze dell’ambiente, il reddito monetario con la salute, l’occupazione con la bellezza del paesaggio, l’innovazione col rispetto del passato.

La punta più alta di questa seconda fase è stata ed è la resistenza intransigente, tenace, documentata, del movimento No Tav in Val di Susa, che ha coinvolto tutta la popolazione locale, riuscendo a respingere con la mobilitazione di massa anche l’occupazione militare del territorio.

L’esempio dei No Tav valsusini è stato contagioso e ha dato coraggio ad altri movimenti di resistenza territoriali alla realizzazione di grandi opere devastanti.

Si è anche costituita una forma di coordinamento tra i movimenti locali in un’ottica di mutuo soccorso. Un’iniziativa importante, che però non consente di uscire da un ambito difensivo.

Noi crediamo che sia matura una terza fase, che dovrà essere caratterizzata dalla consapevolezza che tutte le opere con un impatto devastante sui luoghi e sulla vita delle persone che li abitano rispondono alla stessa logica di sostegno alla crescita, a uno stesso allucinante progetto di futuro senza futuro, alla vera e propria utopia negativa di una crescita che utilizza tecnologie sempre più potenti per apportare modifiche sempre più devastanti alla crosta terrestre, che consuma quantità sempre maggiori di risorse in tempi sempre più accelerati e in tempi sempre più accelerati le trasforma in quantità sempre maggiori di rifiuti, che mercifica progressivamente gli elementi naturali, i rapporti tra le persone, le stesse basi della vita.

Alle follie che si proporranno nell’ambito di questa visione distopica del futuro occorre contrapporre una visione del futuro realistica, possibile e desiderabile, fondata sulla riduzione dell’impronta ecologica. L’unica prospettiva di futuro possibile. E il passaggio indispensabile che i movimenti devono compiere è l’inserimento delle loro controproposte locali in un progetto complessivo in grado di trasformarle in altrettanti tasselli di un futuro possibile alla cui realizzazione tutti concorrono. Non possono più limitarsi a un gioco di rimessa, a risposte colpo su colpo, caso per caso. Devono assumere l’iniziativa. Essere i protagonisti, non più soltanto i deuteragonisti.

Il progetto politico su cui proponiamo di lavorare da oggi è stato avviato da alcune liste civiche e movimenti locali, proprio nell’ottica appena descritta. Non è un caso. È un segno che i tempi di questo passaggio sono maturi. È stata la consapevolezza che non basta organizzare la società civile su un obbiettivo difensivo specifico, per esempio la lotta a un inceneritore o la difesa del territorio da piani regolatori che favoriscono la speculazione edilizia. È stata la consapevolezza che è indispensabile collegarsi con gli altri movimenti di cittadinanza attiva e con le altre liste civiche che in altre aree del territorio nazionale perseguono obbiettivi analoghi.

Ed è bastato lanciare un invito al confronto perché si moltiplicassero le adesioni, le richieste di coinvolgimento.

È bastato confrontarsi per capire che le opere devastanti contro cui tutti i movimenti locali si battono sono motivate dalla stessa esigenza di rilanciare la crescita economica con lo specchietto per le allodole dell’occupazione, che dalla parte opposta sono schierati tutti i partiti, col sostegno dei sindacati e delle associazioni imprenditoriali, con la copertura dei mass media.

Forse non è sbagliato pensare che in questi movimenti è attiva la parte più consapevole della crescente percentuale degli aventi diritto al voto che non la esercitano o annullano la scheda. Chi vota una lista civica nel suo comune perché è una presenza alternativa ai partiti, oggi non ha un referente analogo ai livelli sovra comunali.

Non gli resta che non votare o votare a malincuore il partito che valuta il meno peggiore degli altri. Per quanto ancora saremo condannati a questa inaccettabile alternativa?

Dal confronto tra le molte realtà di questo tipo sparse sul territorio nazionale e per lo più isolate anche se hanno in comune ciò che rifiutano, ciò che vorrebbero e gli avversari, non può scaturire un nuovo soggetto politico in grado di rappresentarli ai livelli istituzionali più alti?

È questa la domanda a cui vorremmo dare una risposta positiva avviando oggi un processo che ci porti a verificarne la possibilità.

Il ruolo dei promotori di questo incontro finisce sostanzialmente con questo convegno che chiude la fase iniziale del percorso e ne apre una seconda. Dopo aver verificato l’esistenza di una comune base politico-culturale e la complementarietà degli approfondimenti specifici sviluppati da ciascuno nella propria associazione, abbiamo elaborato un documento unitario, una sorta di manifesto, che come tutti i manifesti sintetizza gli elementi caratterizzanti e rimanda a documenti specifici per gli approfondimenti settoriali.

Su questo documento abbiamo invitato a discutere le liste civiche e i movimenti di cittadinanza attiva che ne condividono l’impostazione generale, sono interessati a colmarne le lacune e ad apportarvi integrazioni, a trovare forme organizzative snelle, funzionali a sviluppare nei prossimi mesi un impegno operativo sulle tematiche su cui hanno svolto riflessioni e fatto esperienze.

Il presupposto per partecipare a questa fase è la condivisione dei tre punti fondanti che caratterizzano la nostra proposta: la decrescita, l’alterità rispetto ai partiti esistenti in quanto varianti dell’ideologia della crescita che li accomuna, la valorizzazione della democrazia partecipativa che ha trovato la massima espressione nei movimenti contro le opere devastanti in cui si realizza la fase dell’economia della crescita che stiamo vivendo.

I contributi di chi accetterà di inserirsi in questo percorso non potranno essere soltanto approfondimenti teorici, ma dovranno tradursi in un forte impegno a coinvolgere altri movimenti presenti nell’ambito territoriale in cui operano.

Solo se saremo capaci di coinvolgere il maggior numero di queste realtà il progetto di un nuovo soggetto politico potrà realizzarsi.

Dalla discussione odierna dovrà scaturire un gruppo di coordinamento che avrà il compito di gestire la fase del processo costituente del soggetto politico. Oggi non si costituisce nessun partito e, quindi, non si elegge nessun organo politico.

Oggi, se lo riterremo opportuno, si organizzano i gruppi tematici che avranno il compito di comporre i tasselli della nostra identità culturale e politica; che studieranno una struttura organizzativa democratica, partecipativa, flessibile, scevra da ogni forma di personalismo; che si doteranno di un agile organismo di coordinamento per favorire la circolazione delle informazioni e organizzare le fasi del lavoro costituente.

Una struttura di servizio che decadrà nel momento in cui questa seconda fase di lavoro sia finita e saremo pronti a dare vita a un soggetto politico con una identità forte e riconoscibile, un progetto di futuro, un programma d’azione, una capacità di dialogare con le realtà sociali di riferimento, una struttura organizzativa regolata da procedure condivise. A quel punto si eleggeranno gli organi dirigenti ai termini dello statuto che avremo elaborato.

Due precisazioni finali. Il confronto che proponiamo di avviare oggi non ha come scadenza temporale la partecipazione alle prossime elezioni italiane, anticipate o fisiologiche che siano. Il nostro riferimento è il tornante storico che l’umanità si trova davanti, caratterizzato dagli ultimi colpi di un sistema economico e produttivo finalizzato alla crescita della produzione e del consumo di merci: la fine dell’epoca storica iniziata 250 anni fa con la rivoluzione industriale.

La prossima scadenza elettorale italiana, pur non avendo un’importanza trascurabile, è piccola cosa in confronto.

Credo che non si debba mai dimenticare che questo è l’orizzonte in cui ci dobbiamo muovere.

Ciò non vuol dire che escludiamo la partecipazione alla prossima scadenza elettorale italiana. Valuteremo, quando la scadenza si presenterà, se saremo pronti, sia dal punto di vista delle proposte, sia dal punto di vista organizzativo, a raccogliere il consenso di una percentuale significativa del nostro elettorato di riferimento, a cui comunque dobbiamo rivolgerci non limitandoci a sollecitarne l’indignazione o raccoglierne lo scontento, ma offrendo indicazioni propositive concrete, realizzabili e desiderabili. Bisogna uscire dalla politica gridata, dalle contrapposizioni, dagli schieramenti, dalle semplificazioni, dalle personalizzazioni. Dobbiamo parlare alla testa e non alla pancia degli elettori, stimolandoli a uscire dalla logica della delega.

Questi elementi di fondo ci differenziano da altri tentativi in corso di aggregare i movimenti e le realtà sociali che non si riconoscono nel sistema dei partiti in un nuovo soggetto politico pensato in funzione della prossima scadenza elettorale. Pur apprezzando i tentativi di favorire il confronto tra questi progetti e il nostro per il valore insito nel superamento delle frammentazioni, dobbiamo evitare il pericolo che gli elementi fondanti nella nostra proposta vengano annacquati e si confondano in un coacervo indistinto che verrebbe percepito dall’opinione pubblica come un ennesimo tentativo di rimescolamento di spezzoni di una sinistra più o meno radicale unita soprattutto dall’esigenza di raggiungere il quorum elettorale e dalla contrapposizione agli altri schieramenti politici.

Se questa fosse l’immagine che viene percepita, l’esito sarebbe un fallimento in termini elettorali, la perdita della prospettiva storico-politica che caratterizza la nostra analisi della crisi come di sistema delle società industriali, l’allontanamento della possibilità di realizzare un confronto costruttivo con strati sociali determinanti per la realizzazione del nostro progetto.

Domando: è meglio avviare defatiganti trattative con gruppetti ultra politicizzati collocati in nicchie sociali marginali che perseguono sostanzialmente l’obbiettivo di una presenza parlamentare, oppure avviare un confronto serrato con le componenti del mondo produttivo orientate a sviluppare tecnologie che riducono il consumo di energia, il consumo di risorse e le quantità dei rifiuti, e non hanno alcun interesse a rapportarsi con una ennesima minima formazione politica di sinistra impegnata a definire le percentuali relative di ognuna delle sue componenti nella formazione delle liste elettorali?

La domanda è retorica e sottende l’invito a concentrarci sui temi che ci possono consentire di tradurre in termini concreti le premesse teoriche su cui siete stati invitati a discutere dagli organizzatori di questo incontro.

Maurizio Pallante

martedì 21 dicembre 2010

Il Coordinamento dei Precari dell'Università aderisce alla mobilitazione del 22 dicembre

Il Coordinamento dei Precari dell'Università (CPU) aderisce alla giornata di mobilitazione del 22 dicembre contro l’approvazione della Riforma dell’Università. Domani l’iter legislativo di approvazione del disegno di legge dovrebbe giungere al termine con l’approvazione definitiva al Senato, malgrado la manifesta opposizione di molti studenti, ricercatori, docenti e rettori, nonché dell’invito dello stesso Presidente della Repubblica ad ascoltare e a non minimizzare la voce delle parti coinvolte.

Noi, precari della ricerca e della docenza, ribadiamo la nostra ferma opposizione a questo disegno di legge, che non risolve i problemi legati al finanziamento della ricerca, né va nella direzione di premiare il serio lavoro di molti ricercatori (precari e non) che, quotidianamente, svolgono la propria attività nelle università o di mettere in discussione i rapporti di potere all’interno dei dipartimenti. Inoltre, non risponde alla diffusa richiesta di una riflessione più democratica sulla possibilità di un contratto unico della ricerca e della docenza e sulla scarsa qualità dei nostri dottorati rispetto a quelli degli altri paesi europei.

Siamo perciò convinti che questa riforma non fermerà la fuga di cervelli verso l’estero e la produzione sistematica di precariato, non contribuirà a rendere più credibile il sistema universitario nazionale e, soprattutto, negherà alla nostra e alle future generazioni il diritto allo studio, a causa dei consistenti tagli alle borse di studio, nonché l’accesso ad una cultura che, crediamo, rappresenti ancora una risorsa strategica fondamentale per la crescita del nostro paese.

Il CPU sarà presente alla manifestazione di domani a Roma e nelle altre città italiane anche per manifestare il proprio dissenso alla vergognosa operazione di delegittimazione del movimento portata avanti da questo governo e che ha subito un’accelerazione a partire dalla manifestazione del 14 dicembre scorso; ribadiamo la nostra ferma volontà di andare avanti con la lotta e di non farci intimidire da facili strumentalizzazioni; esprimiamo sostegno agli studenti che, come noi, domani scenderanno in piazza per dire ancora una volta no a questa riforma e a un sistema basato sul decisionismo e sulla repressione del dissenso.

Coordinamento dei Precari dell'Università

p.s. a Firenze l'appuntamento per la mobilitazione è fissato in piazza San Marco alle 16:30.

Uniti e Diversi, comunicato stampa relativo all'incontro di Bologna

Comunicato stampa


“Uniti e Diversi” questa la denominazione di un progetto politico del tutto inedito che ha preso il suo avvio a Bologna, sabato 18 dicembre, nella Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Bologna.

Come chiarito nella relazione di Maurizio Pallante, comincia un percorso che, nella intenzione dei promotori, dovrà sfociare nella creazione di un nuovo soggetto politico, del tutto esterno ai partiti esistenti, capace di proporre un governo della transizione verso una nuova società non più costruita sul consumo insensato delle risorse e sulla devastazione dell'ambiente e della stessa natura umana, del tempo vitale degli individui. I promotori concordano sulla impossibilità pratica, materiale, di proseguire lo sviluppo nelle forme e nei modelli degli ultimi due secoli. E sulla necessità di promuovere, a livello di larghissime masse popolari, nuovi stili di vita, di produzione, di consumo, basati sulla solidarietà e non sulla concorrenza. Il nuovo soggetto politico non avrà connotati di destra o di sinistra ma si rivolgerà anzi già si rivolge, alla gente di ogni ceto, per costruire un percorso di pace, di difesa dei territori, di democrazia partecipata, verso una nuova convivenza umana. I promotori vogliono un'Italia fuori da ogni guerra e da ogni alleanza militare.

I promotori del percorso sono la Rete Provinciale Torinese del Movimenti e Liste di Cittadinanza (RPTMLC); Maurizio Pallante (MDF Movimento Decrescita Felice); Giulietto Chiesa (Alternativa); Monia Benini (Per il Bene Comune); Massimo Fini (Movimento Zero).

All’Assemblea di Bologna nonostante la semiparalisi dei trasporti, hanno partecipato oltre 130 persone (provenienti da 12 regioni), tra cui alcune decine di osservatori, individuali e di gruppo. L'Assemblea, a differenza di quella torinese e dei successivi incontri, era infatti aperta alle partecipazioni esterne. Hanno preso la parola non solo coloro che avevano già sottoscritto il documento, ma anche numerosi osservatori a titolo individuale e a nome di gruppi e movimenti.

L'Assemblea ha avuto una prima parte di discussione suddivisa in quattro gruppi generali (non tematici) e una seconda parte di discussione plenaria.

L’Assemblea ha ratificata la nomina di un Portavoce Nazionale che parlerà a nome di tutti i soggetti aderenti, nella persona di Maurizio Pallante.

E' stata ratificata la nomina di una Segreteria Nazionale Operativa Provvisoria (allargabile a nuove adesioni di associazioni e movimenti nazionali) di cinque membri, composta da Mauro Marinari (RPTMLC), Fabrizio Tringali (Alternativa), Monia Benini (Per il Bene Comune), Maurizio Cossa (MDF), Siro Passino (Movimento Zero).

Nel corso dei prossimi due mesi si svolgeranno in ogni regione le assemblee unitarie aperte, che registreranno le nuove adesioni di movimenti, associazioni e liste civiche territoriali. Ciascuna assemblea regionale eleggerà due suoi portavoce nel Coordinamento Nazionale di Uniti e Diversi.

La Segreteria Operativa collaborerà con tutte le realtà locali aderenti per promuovere un calendario di incontri locali, alla presenza dei fondatori del progetto.

La Segreteria Operativa varerà a breve, in base alle indicazioni dell'Assemblea, un calendario di incontri seminariali e di laboratori nazionali tematici.

Bologna, 20 dicembre 2010

Banche indagate per truffa, sequestrati 22 milioni

L'Ansa ha comunicato che la procura di Firenze, tramite la Gdf, ha sequestrato preventivamente 22 milioni di euro a numerosi Istituti di credito: Monte dei Paschi di Siena, Merryll Linch di Dublino, Deutsch bank di Londra, Ubs di Londra, Natixis Sa di Parigi, Dexia Crediop di Roma. L'ipotesi di reato sulla quale lavorano gli inquirenti è truffa aggravata, che si sarebbe concretizzata nell'ambito di alcune operazioni di finanza derivata, i cosiddetti Swap. Grazie ai contratti stipulati a partire dal 1999 in poi con la Regione Toscana, con il Comune di Firenze e con altri tre Comuni della Provincia fiorentina (Campi Bisenzio, Tavarnelle Val Di Pesa e San Casciano Val Di Pesa) gli Istituti di credito avrebbero incassato profitti illecitamente. Le perdite delle amministrazioni pubbliche ammonterebbero invece a circa 123 milioni di euro. Sono tuttora in corso numerose perquisizioni nelle abitazioni e negli uffici di dipendenti delle banche e amministratori pubblici. Il consigliere al comune di Firenze Ornella De Zordo, di perUnaltracittà, ha chiesto che l'assessore al bilancio Angelo Falchetti renda conto al Consiglio sull'utilizzo di prodotti finanziari.

venerdì 17 dicembre 2010

Acqua e rifiuti, dal 20 dicembre in Toscana si cambia. In peggio.

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.



La Regione Toscana espropria Sindaci e consiglieri comunali

La Regione Toscana si appresta il 20 dicembre prossimo a stravolgere le norme sui servizi pubblici di acqua e di rifiuti, togliendo ai Sindaci ogni possibilità di scelta in merito e relegandoli, di fatto, in una commissione puramente consultiva, non vincolante delle scelte dei Commissari regionali, che andranno a sostituire l’Assemblea dei Sindaci.

Il pretesto per la Giunta regionale toscana è dato dalla Legge finanziaria statale, che pone l’obiettivo di ridurre la spesa pubblica per Enti ritenuti inutili. Obiettivo condivisibile, ma qui preso a pretesto per aumentare le dimensioni territoriali degli Ambiti Ottimali, sino a farli coincidere con la regione, come se tali ambiti fossero legati a confini amministrativi e non alle specificità territoriali. Si pretende di far credere che nel controllo regionale delle scelte, gli amministratori regionali sarebbero più liberi dei sindaci, rispetto alle potenti multinazionali, che hanno deciso di trarre profitti senza rischi, gestendo acqua e rifiuti.

Questa riforma non ha neppure nulla di coerente con le asserite volontà di ottimizzare l’efficacia e l’efficienza del servizio, che si fondano invece sulle conoscenze, che sono locali e sui caratteri di un territorio ottimale. “Ottimale” appunto è l’aggettivo fissato dalla legge 36/94, che stabilisce anche i criteri fisici, geografici ed economici, criteri che la Regione Toscana intende stravolgere e non rispettare. Per l’acqua, gli Ambiti ottimali sono strettamente connessi al territorio, sono i bacini idrografici, dove l’acqua piovana defluisce in superficie verso valle o attraverso le falde idriche in percorsi geograficamente e fisicamente definiti per essere poi captata e usata dalla collettività, e infine depurata e scaricata nei fiumi.

Questo vale per l’acqua, ma anche per lo smaltimento dei rifiuti, dove la scelta migliore non è l’accentramento, la regionalizzazione, il commissariamento dei sindaci e dei consigli comunali, ma quella che porta a un coinvolgimento delle popolazioni locali, chiamate a evitare impianti dannosi alla salute e a realizzare le buone pratiche, per conseguire la riduzione della produzione dei rifiuti, la raccolta differenziata e il loro recupero. Cioè soluzioni alternative sia all’incenerimento sia alle discariche. Purtroppo sappiamo che la Giunta regionale ha altri interessi, coincidenti con gli investitori negli impianti d’incenerimento.

La Regione, con questa scelta, si manifesta oggettivamente autoritaria, antidemocratica e piegata ad interessi privati. Autoritaria, perché, a fronte delle istanze dei cittadini la risposta è quella dell’accentramento, dell’allontanamento dei decisori dai territori e dalle comunità su cui ricadono gli effetti delle decisioni. Antidemocratica, perché “svuota” di senso e di autorità le figure dei Sindaci e dei Consigli comunali, ponendo le condizioni oggettive per assegnare a potenti oligopoli privati e ai loro interessi di mercato la gestione di beni che dovrebbero restare pubblici.

Ciò accade nel più assoluto e colpevole silenzio di tutti i partiti: non voler vedere tutto ciò e ritenere questi amministratori inconsapevoli, poco o male informati, significa assumersi la corresponsabilità di una deriva veramente pericolosa.

Coordinamento Comitati e Associazioni Ambientaliste
Provincia di Grosseto

lunedì 13 dicembre 2010

Fiamma Nirenstein cerca di censurare l'Ordine dei Giornalisti

Solidarietà del Movimento Alternativa e di Giulietto Chiesa al preisdente dell'Ordine dei Giornalisti, Enzo Iacopino, sotto attacco in questi giorni da parte dell'onorevole berlusconiana Fiamma Nirenstein e altri estremisti di destra.

I dettagli qui

domenica 5 dicembre 2010

La scuola dopo la Gelmini

A differenza degli universitari, noi della scuola non siamo riusciti a fermare la Gelmini. La controriforma delle elementari + la controriforma delle medie e delle superiori + i tagli in termini di risorse economiche e umane indicati nel piano programmatico attuativo della legge 133/2008 + la mancata erogazione, per due anni, dei fondi per il funzionamento amministrativo e didattico, + la reiterata non esigibilità dei crediti da parte delle scuole (circolari MIUR 14/12/08 e 22/2/2010) hanno messo in ginocchio il sistema dell’istruzione statale in Italia, oggi allo stremo.

Uniti e Diversi, alleanza dei movimenti

Uniti e Diversi terrà la sua prima assemblea Nazionale a Bologna il 18 dicembre alla Facoltà di Scienze della Formazione (Via Zamboni, 32, ore 10.00 - 18.00).

I promotori del progetto UNITI E DIVERSI sono:

 

RPMLC - Rete Provinciale torinese dei Movimenti e Liste di Cittadinanza

Maurizio Pallante (MDF – Movimento della Decrescita Felice)

Giulietto Chiesa (Movimento Alternativa)
Monia Benini (Per il Bene Comune)
Massimo Fini (Movimento Zero)

 Ulteriori dettagli sul sito di Uniti e Diversi.

Fabbricando case e consumando il territorio...

Il Comitato San Salvi chi Può ha pubblicato un interesssante video del Movimento Nazionale Stop al consumo di territorio - a cura di Maurizio Bongioanni - sul tema Fabbricando Case.

Eccovelo...

Carrara, Vittorio Emanuele di Savoia sarà costretto con la forza a presentarsi in tribunale

“Il giudice di pace penale del Tribunale di Carrara, dott. Rino Tortorelli vice procuratore onorario, ha disposto ai sensi del codice di procedura penale (se non erro art. 133 e 377) l’accompagnamento coattivo di Vittorio Emanuele di Savoia, nell’ambito del procedimento a carico del tenore italiano Joe Fallisi.”

[Il resto qui]

Firenze, lezioni alternative all'Università

La Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Firenze continua ad essere occupata dagli studenti che sono quindi in Assemblea permanente nell'ambito della mobilitazione di opposizione alla riforma universitaria. Gli studenti hanno richiesto ai docenti la disponibilità ad organizzare lezioni in piazza, interventi alle assemblee studentesche, lezioni alternative inerenti tematiche legate sia alla situazione universitaria, sia all'attualità. In questa iniziativa si inserisce il seguente intervento della professoressa Filomena Maggino:
"E dopo il PIL? Definire e misurare il benessere delle società"
c/o Università di Firenze
Polo Didattico “La Crocetta”

Via Laura, 48 – Firenze


6 DICEMBRE
ORE 13:00-15:00
AULA A3 (I piano)

Il tema è di grandissima attualità. Il dibattito sta avvenendo a tutti i livelli (accademici ma non solo) e vede coinvolti molti studiosi in tutto il mondo.

Filomena Maggino
Professor of Social Statistics at the University of Florence (Italy) and chief of the Laboratory of Statistics for Research in Social and Educational field (www.starse.it).

In the field of statistics applied to social research, her twenty-year research covers mainly data (i) production (with particular reference to subjective data assessment), (ii) analysis (with particular reference to multivariate analysis, scaling models and composite indicator construction), and presentation and dissemination (with particular reference to defining a model aimed at assessing the quality of communication in statistics).

Vice-President of the International Society for Quality-of-Life Studies. 
 
Component of the OECD GPRN on Measuring the Progress of Societies
 
Component of the National Round Table on "Benessere e Sostenibilità"
 
Involved in many international initiatives, roundtables and training courses related to the movement on “Beyond GDP”. 
 
Author of many publications and member of several international associations, scientific journals’ editorial board, scientific committees and session organizer/chair of numerous international conferences.

She founded the Associazione Italiana per gli Studi sulla Qualità della Vita.

giovedì 2 dicembre 2010

L'11 dicembre Giornata Europea contro le Grandi Opere Inutili

APPELLO EUROPEO


Noi cittadine e cittadini, associazioni e movimenti firmatari della Carta di Hendaye – Dichiarazione comune del 23 gennaio 2010, chiamiamo le cittadine e i cittadini europei a mobilitarsi per fare dell’11 dicembre 2010 una giornata di resistenza coordinata in differenti Paesi d’Europa intorno al tema del trasporto ferroviario.

Da parecchio tempo abbiamo lanciato l’allarme per segnalare gli impatti negativi e irreversibili derivanti dalla costruzione di nuove linee ferroviarie dedicate all’Alta Velocità e alle autostrade ferroviarie, alla privatizzazione della loro gestione e all’aumento dell’indebitamento pubblico grazie a questi progetti faraonici.

Siamo convinti che l’unione delle nostre lotte a quelle di altre resistenze popolari intorno al tema delle Grandi Opere Inutili, che comprende ovviamente l’Alta Velocità ferroviaria, sia inevitabile e benvenuta.

Per questa ragione invitiamo le cittadine e i cittadini, le associazioni e i movimenti che lottano contro questi progetti smisurati e inutili in tutta Europa a unirsi a noi l’11 dicembre 2010.


SI’ alla modernizzazione della rete ferroviaria esistente
NO allo spreco dell’Alta Velocità Ferroviaria


Oggi in Europa vi è ampio consenso sulla necessità che siano attivati investimenti affinché il servizio di trasporto ferroviario passeggeri e merci divenga attraente, accessibile a tutti, capace di servire in modo equilibrato i territori e di armonizzare lo sviluppo economico.

Questa comune visione deriva dalla consapevolezza del crescente pericolo dell’impatto dei mezzi di trasporto e delle infrastrutture sull’ambiente, del rischio di compromettere la sopravvivenza alimentare e la salute delle generazioni future, del preoccupante esaurimento delle ricchezze naturali, delle energie non rinnovabili, della biodiversità e delle terre fertili.

L’impoverimento derivante dalla crisi mondiale suggerisce di indirizzare gli investimenti del denaro pubblico verso progetti adatti a sostenere prioritariamente i più bisognosi prima di offrire a pochi il lusso – pagato da tutti – di viaggiare più velocemente.

Invochiamo il principio di precauzione e chiediamo :

L’arresto immediato di tutti gli smisurati progetti in corso di linee ad Alta Velocità e delle autostrade ferroviarie a causa dei pericoli socio/economici e ambientali derivanti dalla loro realizzazione.
La modernizzazione, la manutenzione e l’ottimizzazione delle linee esistenti è la soluzione sufficiente, accettabile dal punto di vista ambientale e ad un costo finanziario inferiore della costruzione di nuove linee.

Sappiamo che le GRANDI OPERE INUTILI sono promosse per trasferire denaro pubblico nelle mani dei grandi costruttori e sono sostenute da una costosa propaganda per l’ottenimento del consenso popolare con argomenti seducenti e ipnotici.

La giornata di sabato 11 dicembre è organizzata dal Movimento NO TAV insieme alle associazioni e ai movimenti firmatari della Carta di Hendaye.

I Comitati No TAV sono impegnati da 21 anni, con una opposizione popolare e nonviolenta, ad impedire la realizzazione della nuova ferrovia Lione Torino, un’opera devastatrice della natura, dannosa per la salute dei cittadini, inutile perché esiste già un validissimo collegamento ferroviario.

Le cittadine e i cittadini che aderiscono ai Comitati No TAV sono le sentinelle dei territori e per primi hanno compreso che la realizzazione di questa ferrovia è un errore, lo hanno dimostrato con duro lavoro, studio e l’aiuto di scienziati ed economisti.

L’APPELLO che il Movimento No TAV lancia è rivolto alle cittadine e ai cittadini che lottano contro le GRANDI OPERE INUTILI e contro lo SPRECO del DENARO PUBBLICO.

SI’ ALLE PICCOLE GRANDI OPERE A DIFESA DEL “BEL PAESE”
NO ALLO SPRECO DELL’ALTA VELOCITA’
SI’ AGLI INVESTIMENTI PER MIGLIORARE IL TRASPORTO LOCALE E LE LINEE FERROVIARIE ESISTENTI
NO ALLA SPRECO DEL NOSTRO DENARO
NO AI CACCIA BOMBARDIERI F35
NO ALLE CENTRALI NUCLEARI
NO ALLE GRANDI OPERE INUTILI E DEVASTATRICI
NO AGLI INCENERITORI E ALLE DISCARICHE
SI’ AL RECUPERO DELLA MATERIA E AI RIFIUTI ZERO